“Coll’augurio di poterlo al più presto riudire.”

Gramsci critico musicale

Il 27 aprile del 1937 moriva Antonio Gramsci. Tutti lo riconoscono come uno dei pensatori più importanti della prima metà del Novecento, ma non sono in molti a conoscerlo come critico musicale per l'”Avanti!”.

Informazioni

Omaggio a Toscanini (7 maggio 1916)

Ella, egregio maestro, compilando i programmi dei due concerti che verrà a dirigere nella nostra città, non aveva certamente preveduto di poter suscitare un vespaio e di poter far risuonare l’aula del teatro di fischi come alla rappresentazione di una Cinema-Star viennese qualsiasi. Includendo una sinfonia di Wagner forse aveva ancora dinanzi agli occhi i pubblici d’altri tempi del Regio, pieni d’entusiasmo per i “capolavori musicali” che hanno “proprio l’impronta del genio barbarico dominatore!”.
Illusioni, illusioni, fate morgane du beau temps jadis,snobismo sfiancato. Se ora si inibisce a Wagner con goffa e presuntuosa albagia ogni serena contemplazione, gli è evidentemente perché nel passato lo si ascoltava ed applaudiva non come disinteressato creatore di bellezza, ma come “genio barbarico dominatore”, la cui patria era alleata della nostra, il cui imperatore dava da musicare i suoi bolsi libretti al più bolso dei compositori italiani. Servilismo estetico di mercatini di Porta Palazzo, che la guerra ha dimostrato essere il livello di vita dell’anima italiana. Perché non siamo alle prime manifestazioni del genere, se nel gennaio 1872 Giosuè Carducci poteva scrivere parole come queste:

“…la borghesia ben pensante, che ammira sempre la forza e il successo, vestiva i suoi bimbi alla foggia degli ulani come pochi anni avanti gli avea vestiti alla foggia degli zuavi; e i diplomatici e i politici officiosi e governativi, scotendosi dalle ginocchia la polvere delle prosternazioni all’imperatore francese, con la voce un po’ arrocchita dal gridar alcuni giorni prima à Berlin urlavano ora a squarciagola Nach Paris; né mancavano democratici ai quali piaceva, e lo dicevano su le bare dei morti, che i prussiani facessero essi le loro vendette; e in altri i tristi odii nazionali instillati dagli storici e dagli scrittori dei tempi di servitù e di sventura, sublimemente appassionati, fermentavano più che mai freddi e atroci, fino a divenire teoriche di politica. E la maggior parte si comportavano con la Francia atterrata, come lo schiavo recente di servitù il quale esulta su la sventura del padrone che teme”.

Ella non aveva pensato che “a Torino, l’aver scelto fra la tanta musica sinfonica un pezzo di Wagner, può indurre gli ignari a deduzioni non troppo benevole verso la nostra città”. E che questa micidialissima scelta poteva nientemeno che cancellare i benefici effetti della venuta fra noi dell’on. Salandra, “effettuatasi splendidamente mercé l’oculata azione prefettizia e di tutte le autorità (udite, udite) e che servì a dimostrare come la nostra città non fosse seconda a nessun’altra per patriottismo”. Ella nel compilare il programma dei due concerti non s’era evidentemente accorta di tutto questo chimismo demagogico; voleva solo riprodurre opere di bellezza, e non si accorse che Parsifal aveva per l’occasione messo su l’elmo a chiodo.
Adesso vedremo come andrà a finire: il giornale dei mercatini di Porta Palazzo farà ingoiare agli imbecilli i suoi cavoli stantii? Nessuna meraviglia; i servi di ieri non possono soffrire i loro ex-padroni di cui domani lustreranno di nuovo le scarpe. Ma sappia, egregio maestro, che Torino non è tutta compresa nella rumorosa fiera di Porta Palazzo.

. Il secondo concerto Toscanini al Regio (12 maggio 1916)

Il secondo concerto orchestrale organizzato dalla “Società torinese di musica da camera” al Teatro Municipale, risultò una meravigliosa affermazione d’arte ed un altro successo per Arturo Toscanini, duce impareggiabile delle falangi orchestrali. Terminata l’esecuzione della “Pastorale” di Beethoven una irrefrenabile ovazione scoppiò nell’ampia sala diretta al direttore, che venne più volte richiamato al proscenio per accogliere l’omaggio dei suoi ammiratori.
Molte volte verso la fine di un concerto di musica classica – chi li frequenta avrà avuto il dispiacere d’accorgersene – molti visi denotano stanchezza e noia. Certi vicini danno la triste impressione di essere mentalmente assenti; pare ch’essi compiano uno sforzo atroce per rimanere lì muti, inchiodati ai loro posti, estranei a quanto dice l’orchestra, anche se da essa si sprigionano le più belle armonie. Sono attimi di esasperazione contenuta anche per chi solo osserva.
Nulla di tutto ciò è avvenuto l’altra sera durante lo svolgersi del concerto al Regio. L’interesse non ha fatto che acuirsi sempre, dal principio del programma alla fine: dall’ouverture della Medea cherubiniana al finale allegro della “Pastorale”. C’era nel pubblico, commosso, come un’esaltazione spirituale; raramente, in un concerto, si raggiunse un’emozione così intensa. Solo in quei momenti è possibile realizzare quell’unione spirituale invano cercata nella politica.
Poiché la musica – Franck o Beethoven o Wagner – esprime appunto quello che costituisce la comunione delle anime: l’emozione. L’emozione pura ed indeterminata, come dice Nietzsche, la possanza emozionale dell’anima. Ah! ci dicono ingenui nel nostro linguaggio: certo, lo siamo: e vogliamo rimanerlo, sempre. Solo così possiamo aspirare ad accostare la nostra anima al divino Beethoven, al purissimo César Franck.
E l’aspirazione che è profonda ed intensa ci conforta e fortifica. L’umanità sarà migliore e meno violenta quanto più s’avvicinerà a Beethoven: poiché Beethoven è amore e giustizia. Egli fu amico dei poveri: odiò l’ingiustizia. Nelle sue sinfonie vi è una grande aspirazione verso la fraternità umana. Davanti a lui l’odio tace e parla solo l’amore.
La sua “Pastorale” infatti, anche se ultima parte del programma, strappò le più grandi approvazioni e commosse profondamente.
Piacque, come al solito, il Parsifal eseguito ancor meglio che non nella prima audizione. Anche Debussy venne generosamente applaudito ed ebbe pure una migliore esecuzione. Quest’artista, anni or sono considerato un anarchico, è ormai parte indispensabile d’ogni programma. È però il pubblico che è andato verso la sua anarchia.
La Novelletta di Giuseppe Martucci, opera di squisita delicatezza d’ispirazione venne gustata in modo particolare e vivamente.
Vi era una certa curiosità per quanto riguardava la nuovissima, per Torino, opera dello Strawinsky. Ma fin dai primi accordi il giovine compositore polacco conquistò il favore dell’uditorio che tributò larghissimi applausi ai due episodi del balletto. Lo Strawinsky è indubbiamente un musicista di valore. Ebbe maestro Rimsky-Korsakow. Le sue composizioni non hanno però nulla di comune con quelle del maestro. C’è in esse un’arditezza di tecnica che turba ed impressiona. Egli è indubbiamente un orchestratore pieno di colore; va diritto al suo scopo, noncurante dell’opinione del pubblico dal quale non sollecita mai l’applauso. Dice quello che sente e non si cura del risultato, dello effetto che produce sull’ascoltatore. Certo non basta un’audizione per orientarsi completamente in un lavoro di questo genere, nondimeno siamo grati a Toscanini perché ha osato presentarlo al pubblico torinese, in materia musicale discretamente conservatore. L’esecuzione fu assai buona, a parte certe lievi deficienze degli ottoni.
Stasera ultimo concerto diretto da Arturo Toscanini, del quale ecco il programma:
Beethoven: Quinta sinfonia – Strawinsky: Petruchka – Franck: Intermezzo della Redenzione – Martucci: a) Notturno; b) Novelletta – Wagner: Preludio e morte d’Isotta – Sibelius: Finlandia.

. L’ultimo concerto di Toscanini (14 maggio 1916)

“Considero la critica giornalistica come assolutamente inutile, oserei dire nociva… La critica è in generale l’opinione d’un tipo qualunque su di un’opera. In che quest’opinione potrebbe essere utile per l’avvenire dell’arte? Tanto è interessante conoscere le opinioni, anche se sbagliate, di certi uomini di genio, o sia pure di grande talento, come Goethe, Schumann, Wagner, Sainte-Beuve, Michelet, quando vogliono fare della critica, altrettanto è indifferente sapere che il signor tale ami o no una data opera musicale”.

Queste parole scriveva nel 1899, nella Revue d’art drammatique, uno dei più eminenti musicisti contemporanei: Vincenzo D’Indy. Le parole dell’illustre autore del Chant de la cloche, che noi poniamo in capo di queste affrettate note non rispondono ad una volgare necessità di esporre un’erudizione che in noi non è, ma ad un bisogno essenziale e leale dello spirito. Non siamo critici, ma cronisti. Registro più o meno banale (superfluo forse!) di entusiasmi, di emozioni profonde, di vittorie spirituali, di esaltazioni e di sensazioni. Oh! Non proviamo alcun senso di umiliazione dichiarando la nostra incompetenza critica di fronte a Beethoven. Davanti alla sua possanza che – qui l’unica ragione del nostro entusiasmo – s’alimenta da sempre e per sempre all’amore e alla giustizia, non possiamo che ammirare. Rimaniamo dominati da una ammirazione profonda, ma cosciente: non abbandono di piccole anime decadenti per le quali la musica rappresenta sollazzo raffinato. Il nostro amore per Beethoven è l’aspirazione profonda alla fraternità umana, alla giustizia, alla bellezza, al socialismo. Che importa a noi l’analisi o la vivisezione dell’opera d’arte? Volessimo non sapremmo, per temperamento, esercitare questo mestiere; non abbiamo alcuna dimistichezza con i ferri… di esso. Solo quando il nostro cuore non avrà più palpiti, potremo consacrarci a tali fatiche, e questo giorno auguriamo non giunga. Un simile lavoro da certosini non si potrebbe del resto compiere nelle nostre condizioni: schiacciati nell’angusto loggione stipato di credenti assetati d’amore e d’emozioni, che non ai concerti si recano unicamente con la loro anima appassionata… Queste ore di musica che elevano l’anima al di sopra della mischia formano il più grande conforto di questi nostri giorni troppo bassi per l’umanità. Com’è possibile che questo pubblico capace di trattenere il respiro per non turbare minimamente l’esecuzione della Redenzione, e che al termine della “magniloquente perorazione finale” esplode in un applauso irrefrenabile sia lo stesso piccolo volgare, cattivo, inumano che ci circonda, che ci opprime nella vita ordinaria? Ma noi turbiamo l’ora che ci prolunga la gioia e la commozione. La seconda audizione del Petrouchka piacque quanto la prima e si ebbe molti applausi. Anche Martucci fu calorosamente applaudito sia nel Notturno che per Novelletta. Sono due brani di poesia che meritano tutta la simpatia del pubblico. Il Tristano, formava la parte principale del programma e raccolse le maggiori approvazioni della serata. Il poema d’amore dell’infelice Isotta splendidamente interpretato da Arturo Toscanini suscitò la più profonda emozione. Anche Finlandia, reso in stile meraviglioso provocò entusiastiche approvazioni.
Toscanini diresse da par suo e fu grande, perfetto. Il pubblico lo applaudì freneticamente come non mai: era l’ultimo saluto, il ringraziamento affettuoso e riverente per chi seppe per tre sere consecutive provocare sensazioni indimenticabili.
A questo saluto, modestamente uniamo il nostro, coll’augurio di poterlo al più presto riudire…

I volumi
Antonio Gramsci

Concerti e sconcerti

Cronache musicali 1915-1919

Questa raccolta curata da Fabio Francione e Maria Luisa Righi si presenta come la prima pubblicazione organica di tutti gli scritti musicali di Gramsci finora individuati sull’“ Avanti!”. Leggendo le sue cronache si vedrà come il piacere dello spettatore e l’anima pugnace del critico non si sovrappongono, ma si integrano in una miscela intellettuale unica nel panorama della critica musicale del Novecento.
A cura di Fabio Francione, Maria Luisa Righi
2022, pp. 172
ISBN: 9788857586700
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Collana: Filosofie del teatro
A cura di Fabio Francione, Maria Luisa Righi
2022, pp. 172
ISBN: 9788857586700