Le ragioni del dubbio: intervista a Vera Gheno

È vero che una lingua non può cambiare? Introdurre i femminili nei nomi è davvero sbagliato a livello grammaticale?

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È vero che una lingua non può cambiare? Introdurre i femminili nei nomi è davvero sbagliato a livello grammaticale? Questo pomeriggio, nell’ambito del Festival Mimesis di Udine, la linguista e traduttrice Vera Gheno presenta il suo ultimo libro Le ragioni del dubbio (Einaudi, 192 pag., 13,50 €, 2021) in dialogo con Andrea Colombo, che per Scenari l’ha intervistata anticipando alcuni temi dell’incontro. 

Andrea Colombo: Questa intervista precede di qualche ora l’evento in presenza al Festival Mimesis, dove avremo sicuramente modo di parlare più profusamente e di addentrarci in maggiori dettagli rispetto a Lei e al suo libro Le ragioni del dubbio . Ma per il pubblico di lettori che ora ci legge, le domando: qual è stato il percorso di Vera Gheno?

Vera Gheno: Faccio fatica a definirlo un percorso; diciamo che è stata una serie di casualità più o meno volute, che hanno dato forma alla mia me attuale, ben lontana dall’essere arrivata da qualsiasi parte. Molti momenti importanti della mia vita sono nati da fallimenti, o da decisioni improvvise, spesso impulsive. Non c’è un vero disegno, dietro a tutto questo. Solo una cosa è certa: sento il bisogno di restituire qualcosa a quella società che mi ha permesso di studiare e di conoscere tanto. Sono una persona privilegiata, ma vorrei che questi privilegi fossero naturali per qualunque persona

In un’epoca in cui chi sembra affascinarci è soltanto chi ha più ragione di tutti gli altri, il suo libro va volutamente controcorrente e si dedica ad un tema insolito e quasi “fastidioso”. Il dubbio. Come mai?

Perché lo sento come il nerbo della mia conoscenza. È solo quando ho dubitato di quello che sapevo che ho avuto modo di conoscere altro, di andare oltre. E così è ancora oggi: so di sapere solo una piccolissima parte del tutto, e non potrà che essere sempre così.

Nelle sue pagine colpisce molto l’assenza generale di pregiudizi: Lei dimostra di non avere pregiudizi né verso la tecnologia, né verso il cambiamento della lingua italiana, né verso l’uso di parole nuove. Eppure si leggono più o meno ovunque inni al “purismo” della lingua italiana, alle “nuove generazioni” che ne rovinerebbero la musicalità o la tradizione. C’è qualcosa di vero in queste forme di resistenza? Oppure si nasconde l’ombra di un sistema che non accetta di venire modificato?

Il purismo è, secondo me, semplicemente anacronistico. Io penso che questa sia l’età delle contaminazioni: dei vari rami del sapere, della tecnologia con la natura, dell’essere umano con il resto della biosfera. Penso che l’accademia sia un po’ lenta, soprattutto in alcuni settori, a recepire la necessità dell’ibridismo della conoscenza. Eppure, ritengo che sia esattamente ciò di cui andiamo bisogno. I sistemi che resistono al cambiamento alla fine vengono rotti da esso; vince chi si adatta, non chi si irrigidisce.

Il suo libro sembrerebbe (anche) essere un vero e proprio manuale d’uso. Lo considera un libro “attivista”? E chi sarebbero i suoi bersagli polemici?

Perché dovrei avere dei nemici, dei “bersagli polemici”? Io divulgo quello che ho avuto e ho la fortuna di studiare, ma non per attaccare questo o quello. Casomai, ogni tanto mi interrogo su intellettuali, persone dell’accademia, persone che appartengono al mondo dell’arte che, come unico posizionamento, hanno quello in opposizione a idee promulgate da altra gente. Mi sembra una forma di conoscenza per così dire parassitaria: trovate l’idea per la quale militare, invece di attaccarvi come zavorra a quelle che giudicate sciocche, inutili o sbagliate!