Il realismo irrealistico di “Buongiorno, notte”: gli inquietanti 55 giorni della primavera del 1978

Buongiorno, notte è un film storico o una riflessione poetica su un episodio della recente storia italiana? Senza timore di smentita, è tutte e due le cose insieme

Informazioni

Buongiorno, notte è un film storico o una riflessione poetica su un episodio della recente storia italiana? Senza timore di smentita, è tutte e due le cose insieme: è un ossimoro filmico che gioca il suo potenziale espressivo su piani molto differenti tra loro ma che si pone come principale e ambizioso obiettivo di rappresentare il sentimento di una nazione intera durante quegli strani e inquietanti 55 giorni della primavera del 1978 [1]. La precisione delle fonti storiche (radio e televisione con programmi originali della RAI) mette in crisi lo spettatore stimolato a pensare ai due piani filmici totalmente contrappuntati: i sogni di Chiara incastonati dentro un fluire narrativo caratterizzato da fonti storiche precise, incontrovertibili e presentate senza alcuna manipolazione.
Il tema del film, il sequestro Moro, non diventa il “Caso Moro” o l’“Affaire Moro” e Bellocchio si dimostra molto attento a evitare di scivolare nel campo dell’indagine storica come hanno invece fatto Ferrara e Martinelli nei loro rispettivi lavori dedicati ai 55 giorni[2]. Purtuttavia rimane un film di notevole spessore estetico che merita un’indagine approfondita. In particolare ci soffermeremo sul rapporto che lega la forma (le immagini sullo schermo) e il contenuto (la sua trama e i suoi riferimenti storici), nel tentativo di interpretare la poetica che Bellocchio ha scelto di utilizzare per raccontare l’episodio del sequestro Moro. La trattazione proseguirà con una analisi dettagliata del testo filmico e, in particolare, ci dedicheremo alla lettura dei titoli di testa del film di Bellocchio per corroborare la nostra tesi riguardante la componente fortemente ossimorica della pellicola. Così come nella narrazione vi sono delle contraddizioni molto forti che riescono a convivere e a produrre un unicum, così dovremmo trovare altrettanto conflitto nella messa in scena e nelle scelte di montaggio operate dal regista. Il referente teorico principale sarà, per questa delicata operazione di interrogazione del testo filmico, Ejzenštejn, per altro molto ben conosciuto dal regista e dal suo compagno di corso e collega Silvano Agosti con cui, per diverso tempo, ha condiviso battaglie civili e impegno estetico [3].

Il problema della verosomiglianza

Da una nota di OP (Osservatorio Politico), fondato e diretto da Mino Pecorelli, diffusa il 15 marzo 1978: “Mercoledì 15 marzo il quotidiano “Vita Sera” pubblica in seconda pagina un necrologio sibillino: «A 2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C. ». Proprio alle Idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attenderci Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi?” [4].
Il maggior interesse della vicenda del sequestro di Aldo Moro riguarda la fitta trama di strane coincidenze e coinvolgimento di personaggi legati a servizi segreti italiani e stranieri, alla loggia massonica P2, alla banda della Magliana, alla criminalità organizzata (mafia, ‘ndrangheta e camorra) che messi insieme rendono tutta la vicenda di quei giorni un vero mistero all’italiana. Nonostante questo coacervo di materiale denso di interessanti spunti di riflessione e di altissimo potenziale di creazione drammaturgica, il regista ha scelto di raccontare questo episodio concentrandosi soprattutto sul punto di vista personale di una ragazza che è la rappresentazione filmica di Maria Laura Braghetti. Uno stile che lo ha esposto a ferocissime e accanite critiche da parte di persone diversissime tra loro [5]. Gli altri due film dedicati alla vicenda, infatti, si concentrano soprattutto su questi elementi per raccontare l’episodio storico ma con una resa filmica davvero mediocre se paragonata al film di Bellocchio. In particolare il film di Ferrara, il primo in ordine di tempo ad uscire nelle sale, sembra muoversi sul piano dell’estetica tipica dei film per la tv.

Ogni giorno del sequestro è denso di rilevanti, inquietanti e importanti avvenimenti. La sola strage di via Fani è stata ricostruita in modi diversissimi tra loro dal momento che è stato molto difficile in questi trentadue anni capire, con esattezza, la dinamica precisa dell’agguato soprattutto a causa delle differenti e contraddittorie dichiarazioni dei brigatisti durante i cinque processi dedicati al sequestro [6]. Bellocchio, però, di tutto questo materiale non sembra occuparsi e soprattutto non sembra interessato a seguire una ferrea filologia storica dell’evento. Pur tuttavia, la cronaca televisiva entra di continuo nel flusso narrativo a tal punto da trasformarsi in uno dei protagonisti della pellicola. Nel caso dell’agguato di via Fani, la scansione degli eventi televisivi è così maniacale che ci vengono mostrati per intero tutti i programmi antecedenti l’edizione straordinaria del 16 marzo 1978 con tanto di orologio. Perché? E su quali elementi si concentra la narrazione filmica di Buongiorno, notte?

Proprio la messa in scena della mattina del 16 marzo riesce a condensare perfettamente il tema del rapporto tra forma e contenuto del film e dell’inevitabile questione della verosimiglianza della pellicola rispetto agli eventi realmente accaduti. Che strada narrativa imbocca Bellocchio per raccontare questo evento? Quella del non-rappresentato con lo stile tipico del regista piacentino in cui lo spettatore è costretto ad entrare nella scena e a costruirla emotivamente come se fosse lui il vero regista e montatore della scena. La bellezza e la forza di questa scena risiedono nella predominanza dell’uso del suono che prende forma rispetto alla narrazione visiva o rispetto a quella concessa ai pochi dialoghi. I suoni diventano concreti, quasi solidi. La sigla dell’inizio delle trasmissioni RAI viene, ad esempio, sincronizzata con i movimenti, accentuati dal montaggio, di Chiara che chiude le tende per evitare che i vicini possano osservare l’interno dell’appartamento. Il rombo di un elicottero, poi, permette a Chiara ma soprattutto allo spettatore, che conosce benissimo la sequenza storica degli eventi, di comprendere che l’obiettivo è stato raggiunto e che la missione è stata portata a termine. Il tutto viene dedotto prima ancora che venga accesa la televisione, che informerà Chiara e lo spettatore della sparatoria e del rapimento. C’è un problema narrativo non indifferente: l’istanza narrante, infatti, non ha preparato né informato lo spettatore sull’identità dei personaggi, né ha fornito indicazioni sui contorni dello scopo della presa in affitto dell’appartamento o del trasloco o, tanto meno, dell’inizio della giornata segnata dal suono di una sveglia. Per sintetizzare possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un ossimoro filmico: un silenzio narrativo che informa lo spettatore. È lo stile di narrazione intellettuale alla Ejzenštejn che funziona magistralmente nei primi minuti di Buongiorno, notte perché tutto ruota intorno allo sforzo cognitivo dello spettatore e al suo lavoro attivo di comprensione della narrazione composta da vuoti creati ad arte dall’istanza narrante per generare tensione e per creare una trama che, per paradosso, è semplice da comprendere pur essendo così sfacciatamente lacunosa e priva di dettagli fondamentali.

Come sempre nel cinema di Bellocchio, non si possono ignorare le componenti oniriche di Buongiorno, notte perché esse sono parte integrante della narrazione. Entriamo così all’interno della questione sempre attuale della verosimiglianza e di come il regista sceglie di mettere in scena (forma) i temi legati all’episodio storico (contenuto) nel suo film: ci stiamo, in altre parole, addentrando all’interno della poetica del regista e dello stile filmico di Buongiorno, notte.
A seguito dell’incontro con lo psicanalista Massimo Fagioli, risalente proprio al 1978, il cinema di Bellocchio ha subito un’intensa fascinazione per le componenti oniriche del quotidiano, la cui rappresentazione cinematografica è stata una costante del suo cinema recente. Come dimostrano diverse scene del film, tra cui la più affascinante e maggiormente discussa della passeggiata solitaria di Moro per le vie deserte di Roma, il contesto narrativo in cui Bellocchio sceglie di far muovere i personaggi del film è quello dell’insieme di pensieri, visioni e sogni della protagonista Chiara. Soprattutto i sogni e il loro incipit sono creati con lo stile, tipicamente ejzenštejniano, dell’inserimento di frammenti extra-diegetici tratti dai film del regista sovietico Dziga Vertov [7] con l’intento più o meno dichiarato di creare una “forte unità, apparentemente realistica ma profondamente irrealistica” [8]. La rappresentazione del vissuto della brigatista diventa la rappresentazione migliore delle atmosfere che l’Italia ha vissuto nei giorni del sequestro Moro. I cinquantacinque giorni della primavera del 1978 furono un grande sogno collettivo in cui era davvero difficile pensare che stessero accadendo quei fatti. Il più famoso e importante statista dell’epoca venne rapito, con una spettacolare e perfetta azione di imboscata militare, da un gruppo di rivoluzionari di ispirazione marxista e né lo Stato né la polizia né i servizi segreti né l’esercito riuscirono a individuare il luogo della sua prigionia né a salvarlo dal processo a lui intentato e portato a termine con una condanna a morte. Descritto così, il sequestro Moro ha il sapore di un romanzo di fanta-politica o di una ucronia, genere tipico della narrativa di fantascienza. Eppure fu. Questo è la vera chiave di lettura del film di Bellocchio, secondo il punto di vista del presente contributo. E le atmosfere del film sono perfette per descrivere e far rivivere agli spettatori, non importa se italiani o stranieri, quegli anni e quei momenti drammatici della Repubblica Italiana. E per rendere ancora più coinvolgente e piena di credibilità storica la rappresentazione filmica, il regista, con intento didascalico, sceglie di utilizzare i telegiornali della RAI per creare quel senso di realtà irrealistica di cui abbiamo parlato poco fa. Ora il tema della verosimiglianza è davvero di importanza cruciale. Aristotele nella sua Poetica ci illustra questo problema. In particolare il filosofo greco si dimostra particolarmente sensibile alla differenza tra storia e poesia, ravvisando in entrambi i casi un’analoga propensione per la ricerca del vero. Tuttavia, come ben si potrà intuire, sono diversi i modi in cui è affrontata questa ricerca: lo storico racconta o dovrebbe raccontare quello che è avvenuto, mentre il poeta descriverà le cose che sarebbero potute accadere o che sia plausibile siano accadute. Aristotele attribuisce a questa sostanziale differenza la superiorità del poeta rispetto allo storico: “Perciò la poesia è cosa di maggior fondamento teorico e più importante della storia perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari” [9].
Le critiche rivolte al film, dunque, e riguardanti la dimensione di fedeltà storica, risultano essere, come sempre avviene in questi casi, poco incisive e poco significative se l’oggetto da analizzare è un film girato da un regista come Bellocchio sempre molto attento nel creare modalità narrative e di messa in scena sempre originali e imperniate sul rapporto tra immagini in movimento e percezione cognitiva ed emotiva dello spettatore.

I titoli di testa di Buongiorno, notte: la sintassi filmica come ossimoro filmico

Le nostre argomentazioni sono state chiarite nel paragrafo precedente. Giunti a questo punto della trattazione, diventa quanto mai necessario rintracciare un frammento di film in cui siano presenti e condensati i concetti esposti in precedenza. I titoli di testa di Buongiorno, notte sono una perfetta summa di quanto possiamo definire ossimoro filmico.
Analizziamo la prima scena, in cui non ci sono ellissi e in cui il tempo della storia coincide con il tempo del racconto. Il film si apre con una dissolvenza in entrata: lo schermo, infatti, è completamente oscurato. Deduciamo questo modo di inizio della narrazione perché la prima battuta del film viene pronunciata dal personaggio dell’agente immobiliare proprio durante la visione di questo fotogramma. La frase completa pronunciata dal personaggio è la seguente: “Buongiorno Ingegnere. Buongiorno signora”. Facciamo notare, tuttavia, che lo schermo nero e la prima parola sono perfettamente sincronizzate. Il nero dello schermo, infatti, viene contrappuntato con la parola “Buongiorno”. Ecco materializzato e reso per immagini il titolo del film: Buongiorno, notte, appunto. Forma e contenuto sono perfettamente fusi: l’ossimoro del titolo diventa immagine dinamico-visivo-sonora montata del film, come ben evidenzia la figura 1.

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Fig. 1 La prima rappresentazione filmica dell’ossimoro Buongiorno, notte

Con la parola “ingegnere” la dissolvenza in entrata prende forma e con essa l’inizio della scena e del film. La macchina da presa incomincia a muoversi e a intraprendere una carrellata con movimento da sinistra verso destra che permette all’istanza narrante di descrivere l’ambiente in cui si muovono i personaggi. In questo frangente della narrazione, i personaggi non sono visibili fisicamente perché tutto è delegato al fuoricampo sonoro. Si ode solo la voce dell’agente immobiliare che si prodiga nel descrivere le qualità architettoniche dell’appartamento. Questa voce diventa concreta nel momento in cui descrive, per il pubblico preparato sull’argomento del sequestro Moro, tutte le caratteristiche dell’appartamento di via Montalcini: quartiere residenziale, ampio salone e doppio ingresso, tra cui anche quello che permette di accedere dal garage alla cucina. Mentre la voce fuori campo parla e descrive, il profilmico è caratterizzato da un’oscurità squarciata dalla luce naturale esterna che penetra attraverso le tapparelle: un evidente riferimento all’ossimoro del titolo. Nuovamente Buongiorno, notte. La penombra irreale che si crea davanti alla macchina da presa è accentuata dall’assenza/presenza della voce fuoricampo. Al minuto 1 e 05” compare la scritta del titolo, di colore rosso, all’interno di un fotogramma nero, che rende stabile e fissa l’inquadratura di una ripresa costantemente in movimento. Per l’e 34’’ non ci sono attori nel profilmico e la carrellata prosegue in una sorta di danza descrittiva fino a fermarsi davanti alla porta di ingresso dell’appartamento. Pochi istanti prima che la porta si apra, compare la dedica del film: “a mio padre”. All’apertura della porta, tutto quello che era delegato nel fuoricampo finalmente può fare il suo ingresso all’interno dell’inquadratura: voce dell’agente immobiliare, i tre attori (l’agente immobiliare, la signora e l’ingegnere), e la luce. La figura ejzenštejniana del conflitto tra le diverse componenti della narrazione filmica è predominante in questa scena. Il conflitto tra luce e oscurità (rimando continuo al titolo ossimorico del film), la dialettica tra campo e fuoricampo, tra presente e non presente (i tre personaggi e la loro presenza inferita solamente dalla voce dell’agente immobiliare e dal suo “Buongiorno ingegnere. Buongiorno signora”), tra filmico dinamico e pro filmico statico sono un costante rimando alla lezione di Ejzenštejn sul conflitto che Bellocchio conosce molto bene e che rendono questi titoli di testa molto intensi e carichi di una tensione che troverà sfogo nella prosecuzione narrativa del film.

Al minuto 2’ e 25”, un nuovo elemento si inserisce. Parte la marcia trionfale della Aida di Giuseppe Verdi. L’intensità del volume della musica fa pensare ad una fonte sonora interna alla diegesi del film come se provenisse da una radio accesa. Ma dopo le prime note, si intuisce che questa musica è parte integrante della colonna sonora cioè udibile dai soli spettatori, dunque extra-diegetica. Si potrebbe ipotizzare come se fosse un primo esempio di elemento onirico del reale presente nella mente della protagonista Chiara. La macchina da presa prosegue nella sua carrellata fino ad arrivare al punto in cui era partita, come se avesse compiuto un giro circolare: questa scena è l’unica di tutto il film in cui la macchina da presa è in costante movimento e, se non fosse interrotta da uno stacco, potremmo definirla un piano sequenza. Al minuto 2’ e 47” c’è il primo stacco di montaggio e quello che vediamo sullo schermo è un perfetto montaggio interno, quello che Ejzenštejn chiamerebbe un obraz [10]. Il quadro che viene composto da Bellocchio, infatti, presenta il pro filmico diviso esattamente in due parti distinte dove gli attori occupano uno spazio ben delimitato. A sinistra dell’inquadratura c’è il buio e la figura dell’”ingegner Altobelli” [11]. A destra dell’inquadratura, invece, troviamo la figura di Chiara, ripresa in figura intera, che viene illuminata dalla luce del giorno ed è, inoltre, incorniciata all’interno della porta-finestra che permette. Buongiorno, notte, di nuovo: si veda la figura 2.

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Fig. 2 Buio e luce nella stessa inquadratura: la raffigurazione visiva dell’ossimoro Buongiorno, notte

Nuovo stacco di montaggio e l'ingegnere viene ripreso in piano americando mentre l'agente immobiliare, in fuoricampo sonoro, continua a parlare. La durata di questa inquadratura è determinata dal passaggio dell’agente immobiliare che, dopo aver attraversato tutto il campo visivo, da sinistra a destra, ritorna ad essere relegato nel fuori campo.
Descriviamo, ora, l’inquadratura più lunga di tutta la scena: dal minuto 3’ e 00” a 3’ e 22”. L’inquadratura successiva ci presenta, tramite un falso raccordo e in primo piano, Chiara e l’ingegnere illuminati prima da una luce quasi inesistente e poi illuminati da una fonte di luce esterna molto intensa. Anche in questo caso, tutta la responsabilità del passaggio dall’oscurità alla luce viene delegata dal personaggio dell’agente immobiliare che parla in fuori campo e che, udiamo perfettamente, provvede ad aprire le tapparelle per far entrare la luce del giorno nella stanza. Ancora una volta Buongiorno, notte.

La macchina da presa continua ad inquadrare i due personaggi di Chiara e l’ingegnere ma, ad un certo punto, l’agente immobiliare entra nell’inquadratura, spezzandola, ma rimane di spalle e non a fuoco. Il quadro che si presenta è un vero e proprio ossimoro filmico: l’agente immobiliare, infatti, pur essendo in campo rimane, nello stesso momento, fuori campo (ripreso di spalle) anche grazie allo stratagemma di Bellocchio che lo continua a far parlare. Buongiorno, notte, dunque.
Concludiamo l’analisi della scena con il penultimo stacco di montaggio. L’inquadratura sposta Chiara e l’ingegnere nella parte destra, sempre in piano americano, e l’agente immobiliare nella parte sinistra mentre la macchina da presa rimane ferma. Al termine del brevissimo dialogo, tutti i personaggi escono dal campo visivo creando la stessa inquadratura che lo spettatore ha visto all’inizio della scena. Prima dell’ultimo stacco della scena, infatti, la macchina da presa è nella stessa posizione e con la stessa altezza del primo fotogramma di apertura del film, con una differenza. In questo caso l’inquadratura è spezzata perfettamente in due parti: a sinistra l’inquadratura è in penombra mentre a destra è in piena luce. Per l’ultima volta, Buongiorno, notte.

La visione personale di Marco Bellocchio sul sequestro Moro

Ma per concludere, qual è il punto di vista del regista? È facile rintracciare nel personaggio di Chiara il punto di vista del regista. Il libro da cui Bellocchio ha tratto la sceneggiatura del film, infatti, è scritto da Anna Laura Braghetti. Tutti i sogni e soprattutto le visioni del film sono creati e vissuti solo da Chiara. Anche le vicende vissute dal gruppo fuori dall’appartamento sono solo quelle della protagonista. Il rapporto con il prigioniero Moro è incentrato soprattutto sulla rappresentazione filmica dei pensieri, sogni e visioni della bravissima Maya Sansa. Tutto il film, sin dal primo istante, è il racconto in prima persona di colei che fu la vera carceriera di Moro. Laura Braghetti, infatti, fu la più insospettabile tra le BR e l’unica donna ad avere un rapporto diretto con lo statista democristiano. La narrazione ha come principale obiettivo di mostrare la quotidianità del gruppo BR: interna ed esterna all’appartamento di via Montalcini. La quotidianità normale di una ragazza che lavora per una biblioteca di giorno e che di notte si trasforma in una delle persone più ricercate d’Italia rendono la dolcezza del viso della Sansa molto simile a quello della Braghetti. Il titolo del film ci fa, inoltre, pensare alla trasmissione di Sergio Zavoli che nel 1990 ebbe un grande successo: La notte della Repubblica. E proprio pensando all’intervista fatta alla Braghetti durante quella trasmissione di Zavoli viene in mente il parallelo con l’interpretazione della Sansa. Entrambe le donne sembrano avere, infatti, modi molto miti e un tono di voce pacato.
Buongiorno, notte è basato sul contrasto perenne tra due elementi, esattamente come, verbalmente, riesce a fare il titolo scelto da Bellocchio. Il dentro e il fuori l’appartamento sono continui e costanti. Il contrasto tra luce e oscurità, che abbiamo descritto nell’analisi dei titoli di testa del film. Così come lo sono le molte scene che tentano di rappresentare il vissuto psicologico della protagonista: è difficile per lo spettatore comprendere se stia assistendo alla realtà oggettiva della narrazione filmica o ad una visione di Chiara. Gli altri personaggi che si trovano all’interno dell’appartamento sembrano molto meno vivi della protagonista. Sembrano manichini o, addirittura, delle ombre che si aggirano per la casa. Non sono ben delineati nello spessore psicologico, non quanto Bellocchio fa con il personaggio interpretato dalla Sansa. Il tormento della protagonista, spesso rappresentato in maniera quasi didascalica, è un fatto realmente accaduto? Non lo sapremo mai, ma stando al romanzo della Braghetti sembra proprio di si. Ma appare, a nostro giudizio, molto di più una interpretazione del regista e forse un suo desiderio per spiegare o dare senso ai quei giorni del sequestro che furono davvero la notte più buia della Repubblica Italiana.

[1] “Lo stile del film non è realistico, l’oggetto non è la verità storica, chi c’era dietro i terroristi o altro. Volevo cercare nell’infedeltà qualcosa che contrastasse l’ineluttabile di quella tragedia, che sono le contraddizioni del personaggio di Chiara. Braghetti si rimprovera di non aver agito, ma è andata così. Il resto sono i sogni”. Da Intervista a Marco Bellocchio, in “Il Manifesto”, 5 settembre 2003, citato in A. Soncini, “Il sacrificio della ragione”, Cineforum, nr 429, novembre 2003, p. 2

[2] Mi riferisco, ovviamente, a Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara e a Piazza delle cinque lune (2003) di Renzo Martinelli, quest’ultimo con la consulenza storica di Sergio Flamigni. La consulenza storica di Buongiorno, notte, invece è stata affidata a Tatti Sanguinetti.

[3] Un evidente omaggio ad Agosti e alla loro collaborazione sul tema della chiusura dei manicomi (Matti da slegare, 1974) si trova all’interno di Buongiorno, notte quando, in maniera totalmente avulsa dal contesto delle trasmissioni RAI inerenti il sequestro Moro, la protagonista Chiara, distrattamente, ascolta in televisione un’intervista rilasciata da Tina Anselmi sul dibattito dell’approvazione della legge Basaglia che, tra l’altro, fu approvata appena ebbe termine il sequestro e precisamente il 13 maggio 1978.

[4] In Sergio Flamigni, Le Idi di Marzo. Il delitto Moro secondo Mino Pecorelli, Kaos Edizioni, Milano, 2006, pag. 245.

[5] Degno di menzionare, in particolare, l’articolo di Goffredo Fofi “Snobbato Bellocchio? Bene, il suo è un film infantile”, Il Messaggero, 9 Settembre 2003 e le infuocate parole di Fida Moro, figlia dello statista democristiano. Per una puntuale, dettagliata e completa bibliografia sul cinema di Marco Bellocchio rimandiamo al libro di Patrizia Caproni, Lo sguardo inquieto. Marco Bellocchio tra immaginario e realtà, Le Mani – Microart’s Edizioni, Recco (GE), 2009

[6] Indubbiamente la migliore ricostruzione della strage è riprodotta, quasi fedelmente, dal film di Martinelli, effettivamente attentissimo alle indicazioni molto precise dell’indagine ventennale operata dal senatore Sergio Flamigni sul sequestro Moro.

[7] Il film, in particolare, è Tre canti su Lenin, documentario del 1934 ripreso in diversi momenti onirici del film.

[8] Definizione data dallo stesso Bellocchio durante la registrazione dei commenti per l’edizione DVD del film.

[9] In Aristotele, Poetica, 51b 5-7 (trad. Diego Lanza), BUR, Milano, 1987, p. 147.

[10] Per capire questo concetto è utile far riferimento alla nota lessicale redatta da Paolo Gobetti per l’edizione italiana di una raccolta di saggi del cineasta sovietico: in questa nota, infatti, troviamo in seconda battuta proprio il termine obraz, tradotto in italiano con il generico vocabolo di “immagine”. “In tutto un suo saggio Ejzenštejn intende con immagine la resa di un concetto per mezzo di una raffigurazione. E abbiamo perciò in certi casi usato l’espressione «concetto figurato» o «figurazione concettuale». Si tenga inoltre presente che obraz in russo ha anche un aggettivo dacui si forma un nuovo sostantivo: qualcosa come «immaginità», ossia la resa per immagini”. In Sergej M. Ejzenštejn (1942,1949, 1958), Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Einaudi, Torino, 1964, pp. 544-545.

[11] Questa è una delle poche incursioni di Bellocchio nel caso Moro. All’epoca del sequestro, sul citofono di via Montalcini 8 a Roma, sede del covo BR dove venne fatto prigioniero Moro, c’era il nome di un certo Altobelli. L’ing. Altobelli, inoltre, era intestatario di tutte le utenze dell’appartamento (luce, gas e acqua). L’aspetto misterioso della vicenda è che le BR hanno sempre dichiarato che il covo di via Montalcini era presidiato da sole tre persone, fino al 1993: Mario Moretti, Laura Braghetti e Prospero Gallinari. Il quarto uomo, il famoso Ing. Altobelli, venne individuato solo nel 1993 nella persona di Germano Maccari. Per i dettagli di questo piccolo ma significativo episodio del caso Moro, si veda Maria Antonietta Calabrò, “Ecco il quarto carceriere di Moro”, Corriere della Sera, 15 ottobre 1993. Nel film, infatti, i componenti del gruppo BR sono quattro.

Massimiliano Studer