
La posta in gioco di questo libro è quella di intrecciare i luoghi dell’opera di Derrida in cui si muove il pensiero di una certa fede ipercritica, che non si limiti più al paradigma dogmatico dei tre monoteismi storici (islamico, ebraico e cristiano) ma cerchi di oltrepassarli alla volta di un discorso che rispetti e salvi il nome impossibile di Dio – nella sua assoluta distanza, nel suo darsi come “crollo senza fondo e desertificazione senza fine del linguaggio” – perdendolo. A partire da una precisa lettura della speculazione di Lévinas, della suggestione della corrente teologico-negativa e della mistica, si vuole in questa sede seguire Derrida nel movimento che tende verso il dio dal nome impronunciabile, il decostruttore della torre di Babele. Il dio-Nulla, la cui verità è una spettralità che fugge l’umana presunzione di definirlo o rappresentarlo, si offre all’uomo come deserto e spazio introvabile (chora) di ogni evento a venire. Nel recuperare la dimensione derridiana di una religione senza “propulsione messianica” – che si mette in cammino sulle tracce del dio invisibile e desidera solo l’abbandono – è forse possibile ripensare il rapporto tra uomo e Dio, lontani dalla violenza d’una identificazione.
Giorgia Bordoni (Terracina 1982) è dottoranda di ricerca in filosofia presso il SUM di Napoli e sta lavorando ad una tesi sul problema della chora in Derrida come spazio di decostruzione della teologia politica. Ha tradotto e curato, nelle edizioni Mimesis, due testi di Derrida – Firmatoponge e Avances – autore sul quale ha pubblicato diversi articoli. Ha inoltre dedicato alcuni contributi alla filosofia francese del Novecento e alle possibili coimplicanze tra filosofia e letteratura contemporanea.