Bataille è l’autore dell’impossibile e della parte maledetta. Come negarlo! Ma limitarsi a dire di un autore così paradossale quale Bataille è, che è il filosofo dell’eccesso, significa forse togliergli il suo carattere più proprio: di essere (stato), nella sua vita e nella sua riflessione, un irriducibile paradosso. Se solo si pensa che «l’impossibile» è, per Bataille, «in verità [il] possibile ma sopprimendo tutto ciò che lo annulla» e che «la parte maledetta» è la congiunzione ‘irritante’ della «conferma della vita fin dentro la morte», il tratto paradossale del suo pensiero, la «magia degli estremi» che lo connota, difficilmente potranno essere risolti da e in una metafisica dell’eccesso. Il carattere irriducibilmente antimetafisico del pensiero batailleano, che nessun eccesso può ‘comprendere’, consiste in questo: mantenere intensamente, nella propria passione di esistere, gli estremi al limite del respiro, tale che ne risulti un’appassionata dialettica del mondo e di sé costantemente attraversata dall’abisso, da un radicale sfondamento che soli consentono di provare la vertigine singolare della libertà. È sufficiente, in effetti, considerare – come si è fatto in questo libro, dedicato a una puntuale analisi delle figure del tempo nella sua opera – la singolare definizione che Bataille dà del tempo: la durata della perdita, una definizione che, prim’ancora di esser tale, è l’esperienza che il mortale fa della propria irriducibilità di mortale, per confermare lo statuto paradossale della sua riflessione: perdere saggiamente la testa. Con l’acquisizione definitiva e definitoria di un essere roso all’interno dal tempo diventa allora, finalmente, possibile pensare con Bataille e leggerlo aldilà dei “suoi” topoi. E ipotizzare, ad esempio, che dentro la questione dell’impossibile e della parte maledetta, c’è qualcos’altro, e che forse è quest’altro motivo – l’irriducibile – quello che Bataille, alla fine, più sentiva, cui ha dedicato l’intera sua vita di pensatore, chiamandolo all’inizio in altro modo: eterologia. Ciò vuol dire porre, in maniera discreta, la questione politica e filosofica di un’altra lettura dei suoi testi, liberare Bataille e la sua scrittura sull’abisso da un intento non suo: l’asinina affermazione dell’eccesso, per guardare in faccia, senza timore e terrore, la grazia dell’irriducibile – attraversando, con la solidità della propria carne, le forme disfattiste del tempo, un tempo che chiede solo di essere capricciosamente consumato.
Felice Ciro Papparo insegna Filosofia morale nell’Università “Federico II” di Napoli.
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