
L’uccisione di un figlio per mano materna rappresenta nell’immaginario collettivo il più orribile dei delitti, ma, al di là della spesso morbosa attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media, i dati statistici confermano una realtà consolidata con precedenti storici rilevanti. La stigmatizzazione della donna nel ruolo di madre assassina va ricondotta, quindi, entro un quadro più generale: dopo i movimenti di emancipazione degli anni ’70, il sistema tende ancora – o di nuovo – a estromettere le donne da alcuni ambiti per relegarle nel ruolo di “buone madri”. In questo nuovo scenario “post/neo patriarcale” la femminilizzazione del mondo del lavoro e dello spazio pubblico è avvenuta attraverso meccanismi di “inclusione differenziante”, desoggettivizzanti oltre che anacronistici, alla luce del mutamento del concetto di identità sessuale e di genere, ancora tutto in divenire.
Sara Fariello è ricercatrice in Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale presso la Seconda Università degli Studi di Napoli. Attualmente insegna Sociologia del territorio nel corso di studi di Ingegneria Civile e Ambientale. Si è occupata in particolare dello studio dei processi “glocali”, di diritti umani e di questioni di genere. Tra le pubblicazioni più recenti: Madri assassine. La produzione degli ordini discorsivi sul figlicidio (2012), Quando il futuro fa più paura della morte. Precarietà e suicidio nel mezzogiorno d’Italia: alcuni casi (2014).
Armando Adolgiso - nybramedia.it, 12 febbraio 2017
"Madri assassine"
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Gioacchino Toni - carmillaonline.it, 9 febbraio 2017
"Madri assassine, responsabilità sociali e strategie di distrazione di massa "
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