
Paolo Bertetto raccoglie parole come fossero una concrezione del nulla, e si confronta, al fondo, con quello che non si può ridurre alla pura sfera verbale. Come una preghiera laica, la sua poesia cerca un argine sapendolo fragile, facendo risuonare echi di versi ascoltati e introiettati (da Celan a Ungaretti a Char o Rilke), fino a restituirne non la trama, ma, a volte, quasi un rovesciamento, in una sospensione continua del significante; con un passo che però ha qualcosa di sacrale. Il suo è un viaggio nella disperazione, da un lato itinerario filosofico, dell’altro traccia esistenziale...
Lo stile tardo ha bruciato le navi alle spalle. Si è liberato delle paure pur sapendo di non essere al riparo dal terrore, tra immobilità e visione. La scrittura non può nulla e nonostante ciò è l’unica necessità, può tutto. Confrontarsi col proprio destino significa confrontarsi con essa, nel suo enigma.
Mario Baudino
I versi di Paolo Bertetto hanno stile ed energia, contengono un nocciolo esistenziale, di ansia, angoscia, disperazione, ma hanno la dimensione dell’istante, l’andamento sincopato, la vertigine del nulla, la propensione alle domande ultime tipiche della poesia. Ho letto con una partecipazione molto intensa i versi sul mare che sgorgano da tante sorgenti, sono ondosi, hanno qualcosa di una risacca fremente, e poi c’è la luce della Grecia, e anche della Liguria e della Provenza...
Giuseppe Conte