
I nuovi equilibri geopolitici
APRILE/GIUGNO 2023 Trimestrale · anno XVII · numero 2
Lo specifico del «paradigma geopolitico» consiste nel complicare l’idea che lo spazio sia il semplice scenario, politicamente indifferente, di forze e conflitti che si dispiegano secondo leggi del tutto autonome e che si riflettono poi in una certa configurazione di confini e suddivisioni territoriali, che lo spazio si limita a subire. Non che la geografia non sia anche il risultato della politica : è la politica che dà senso allo spazio e non viceversa. Ma lo spazio non è solo un ricettacolo passivo, come emerge già solo dal fatto che ‘senso’ è un concetto in sé strutturalmente spaziale, per cui avere un senso significa essere orientato in una certa direzione. Il punto della geopolitica è che lo spazio geografico nudo e crudo, quello brutalmente materiale, scabro, mai del tutto riassumibile nella levigatezza delle forme geometriche con cui si prova a rappresentarlo, ‘curva’ qualsiasi azione abbia luogo (appunto) sul piano della politica internazionale, perché contribuisce in modo determinante a suggerirla, legittimarla, agevolarla o ostacolarla. Chi voglia parlare o scrivere di crisi dell’Occidente (e sono in molti) ha l’obbligo di definire con ragionevole precisione che cosa significa ‘crisi’ e che cosa è l’Occidente. Questo esercizio di rigore cambia la prospettiva: la retorica del declino ha fatto il suo tempo ed è venuto il momento di pensare, articolare, rivendicare i motivi d’orgoglio (e sono molti) di appartenere a questo crocevia di geografia e storia, cultura, politica democratica, valore della persona.
Sommario
Editoriale
Laura Paoletti, Spazi curvi (pp. 9-11)
Introduzione
Emidio Diodato, L’illusione di esser fuori dal globo (pp. 13-23)
Contributi
Fulvio Attinà, La complessa transizione dell’ordine mondiale (pp. 25-37)
La guerra in Ucraina è il punto di svolta dell’ordine internazionale liberale, costituito dai paesi occidentali dopo la Seconda guerra mondiale. È il momento di passaggio dalla recessione dell’ordine occidentale alla transizione verso un nuovo assetto mondiale: una transizione opaca perché, se da un lato viene delegittimato l’ordine occidentale – già a partire dagli anni Sessanta, a causa dell’insoddisfazione degli stati svantaggiati dal liberalismo – dall’altro non vi è accordo sull’agenda del futuro sistema. In tale quadro, l’escalation bellica si arresta non solo mediante accordi di global governance, ma attraverso un processo di decision-making tra coalizioni di stati che convergano su politiche-quadro mondiali e sull’adeguamento della pratica della sovranità statale.
Cecilia Emma Sottilotta, Il rischio politico e la crisi del paradigma neoliberale nel mondo post-pandemico (pp. 39-50)
L’A. discute l’evoluzione dell’analisi del rischio politico alla luce della crisi del paradigma neoliberale. Con l’affermarsi del neoliberismo come modello economico dominante, la principale fonte di rischio politico era considerata l’interferenza governativa nelle attività imprenditoriali. Oggi, al contrario, è l’assenza dello stato a essere percepita come importante fonte di rischio per gli attori economici. Questo ribaltamento di prospettiva si deve da un lato alla pandemia, che ha imposto alle istituzioni la progressiva introduzione di forme di sostegno statale alle imprese; dall’altro alla guerra in Ucraina, che lascia emergere la possibilità – o la necessità – di un paradigma economico alternativo, ‘neostatalista’.
Barbara Pisciotta, La dimensione territoriale del revisionismo russo (pp. 51-62)
Una possibile chiave di lettura della politica estera russa, dalla fine degli anni '90 ad oggi, è legata alle dinamiche revisioniste attuate rispetto all’espansione della democrazia occidentale, dell’UE e della Nato nello spazio post-sovietico. La progressiva accettazione dei rischi connessi all'opzione militare ha consentito alla Russia di scegliere il mezzo più idoneo per il raggiungimento dei propri obiettivi e ha attribuito alla sua politica una connotazione territoriale e nazionalista, finalizzata alla stabilizzazione della propria egemonia, all’annessione di aree strategiche, alla difesa dei confini dinanzi all’espansione della NATO e dell’UE, alla tutela delle minoranze russe residenti nei territori occupati.
Pier Paolo Raimondi, La fine del ponte energetico tra Europa e Russia: un cambio di paradigma (pp. 63-76)
Più di mezzo secolo fa, Europa e Federazione Russia hanno iniziato a costruire una solida relazione basata sul commercio di energia russa. Nonostante periodi di forte tensione politica, questo ponte energetico non solo ha resistito, ma si è rafforzato. Per decenni la Russia si è comportata come un fornitore affidabile e ciò ha permesso a diversi stati europei di basare i propri modelli industriali ed economici sull’energia russa. La crisi scaturita dall’invasione dell’Ucraina rappresenta un'importante cesura del paradigma precedente ed obbliga l’Europa a riconsiderare l’evoluzione del sistema energetico ed economico oltre che le sue relazioni esterne. L’articolo mira ad affrontare questi temi oltre che a spiegare le principali cause della crisi e le opportunità che possono derivarne.
Federico Niglia, La Germania in transizione: dal post-guerra fredda al governo Scholz (pp. 77-87)
L’insediamento del governo Scholz in Germania non ha rappresentato un evento di rottura rispetto alla lunga stagione politica di Angela Merkel, ma non si può parlare neanche di sostanziale continuità: piuttosto, si tratta di una ‘svolta silenziosa’, il completamento di una serie di sviluppi politici, economici e sociali che hanno caratterizzato la storia tedesca dal post-bipolarismo a oggi. In tale quadro, la guerra in Ucraina ha impresso un’accelerazione radicale, ma quanto oggi si sta verificando in Germania rappresenta il compimento di una lunga epoca di transizione, di un percorso di riposizionamento delle forze politiche nazionali e, al contempo, di ripensamento profondo del proprio ruolo internazionale.
Agata Lavorio, Geopolitica del cambiamento climatico: gli Stati Uniti alla prova dell’Artico (pp. 89-101)
Della gravità degli effetti del cambiamento climatico deve interessarsi anche la geopolitica. Plasmando una nuova geografia fisica, infatti, il cambiamento climatico pone consistenti sfide in merito agli asset di difesa e sicurezza nazionale. Caso emblematico, in tal senso, sono gli Stati Uniti, messi alla prova dagli effetti dello scioglimento dei ghiacciai nell’Artico, con conseguente logoramento dei vincoli geografici settentrionali che hanno per secoli protetto il continente americano e l’intensificarsi di potenziali vettori di minaccia provenienti dal fronte nord. Occorre una seria riconsiderazione di concetti geopolitici tradizionali e una continua, ma crescente, equalizzazione di asset necessari di sicurezza nazionale.
Edoardo Baldaro, Le molte frontiere del Sahel: crisi e geopolitiche tra Nord e Sud Globali (pp. 103-117)
Esiste un diffuso immaginario geopolitico, segnato dalla Guerra Globale al Terrorismo, che legge le ‘periferie’ del sistema internazionale come luoghi di instabilità e crisi, potenziali minacce per l’Occidente. Il Sahel, da questo punto di vista, esemplifica questa narrazione ‘securitaria’: terra di espansione del Califfato, frontiera meridionale di un’Europa che si percepisce sotto assedio e oggi, con l’arrivo in forza di agenti russi, nuovo terreno di competizione tra grandi potenze. La crisi del Sahel consente dunque di mettere in luce il racconto stereotipato del dibattito pubblico italiano rispetto alle dinamiche del Sud globale, e di offrire nuove chiavi di lettura per interrogarsi sul futuro della politica internazionale.
Veronica Strina, Ascesa e declino dell’influenza culturale cinese? (pp. 119-132)
Nella nuova era di Xi Jinping, la reputazione della Cina a livello internazionale si è fortemente compromessa. La pandemia di Covid-19 e l’involuzione autoritaria ne hanno messo a repentaglio la credibilità, lasciando tuttavia indiscussa l’influenza del suo ruolo nell’arena internazionale. Il contributo sostiene che l’evoluzione del soft power cinese non sia da inquadrare in termini di ascesa e declino o di transizione verso un potere sempre più hard, ma piuttosto di trasformazione della strategia di proiezione internazionale di Pechino caratterizzata dalla centralità della moral suasion di Xi Jinping, che vede nella cultura tradizionale di stampo moralista una risorsa fondamentale per la legittimazione del ruolo della Cina come grande potenza responsabile.
Antonio Malaschini, La posizione della Cina nella guerra russo-ucraina nel secondo anno di conflitto (pp. 133-144)
Rispetto alla guerra russo-ucraina, la posizione cinese rivela una sostanziale opacità: per un verso, l’intento – come ad esempio emerge dal «Piano di pace» del 24 febbraio 2023 – è porsi come mediatore tra le parti in conflitto, garantendo l’equilibrio dell’ordine mondiale. Per altro, la linea politica cinese, particolarmente ricettiva al tema della sicurezza nazionale, mostra una certa acquiescenza rispetto all’iniziativa russa. Il rapporto tra Cina e Russia, sebbene non si configuri mai nei termini di un’alleanza militare, implica innegabilmente un supporto reciproco in termini energetici, finanziari, economici. Quali previsioni è possibile trarne, per il futuro? Una ragionevole continuità o l’attuazione di una reale volontà di mediazione?
Varia
Claudia Mancina, Guerre e ordine mondiale (pp. 145-156)
Dopo aver ripercorso le trasformazioni essenziali nel concetto e nella pratica della guerra, dall’Ottocento ai giorni nostri, l’A. si concentra sulla situazione venutasi a creare a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. L’individuazione di cause e di possibili evoluzioni dello scenario richiede categorie prettamente culturali. La geopolitica di Putin si nutre della difesa della patria, della storia russa e del mondo russo, di fronte alla degenerazione dell’Occidente. E la comprensione di quel che potrà accadere non può ignorare che ci si trova di fronte ad un vero e proprio scontro di civiltà: potranno funzionare gli accordi tra democrazie e autocrazie? Non è solo una questione di forza: tra i due sistemi c’è senza dubbio una competizione strategica, che ormai si configura anche come competizione morale e culturale.