
Singolarismo e Riconoscimento
LUGLIO/SETTEMBRE 2023 Trimestrale · anno XVII · numero 3
Singolarismo e Riconoscimento
LUGLIO/SETTEMBRE 2023 Trimestrale · anno XVII · numero 3
Il singolarismo è l’esigenza di essere un individuo speciale, diverso da tutti gli altri, valorizzato, ammirato, amato per i propri talenti e la propria unicità. L’imporsi dell’ideologia meritocratica, l’incremento delle disuguaglianze, lo strapotere dei big data parrebbero trovare legittimazione in tale chiave. Rispetto a questo, le dicotomie con cui strutturiamo lo spazio socio-politico – destra e sinistra, libertà e giustizia, privato e pubblico, interesse e gratuità – non sono più efficaci. Il tertium è rintracciato nella categoria del riconoscimento, che trasfigura il conflitto in una relazione di libertà. La questione di fondo è se il singolo possa esser ricompreso in questo gioco dialettico o, piuttosto, se ne sottragga.
SOMMARIO
Editoriale
Laura Paoletti, Tra Zuckerberg e Hegel (pp. 9-11)
Introduzione
Stefano Zamagni, Il riconoscimento nell'era del singolarismo. Libertà - giustizia sociale - emancipazione (pp. 13-25)
Contributi
Luigi Alici, Riconoscimento tradito: singolarità, reciprocità, fragilità (pp. 27-40)
Si parla di riconoscimento tradito quando alla gratuità della relazione subentra la logica dell’utile: è il caso dell’individualismo o del singolarismo, che subordinano l’incontro con l’altro ai bisogni dell’io – autonomia, visibilità, unicità – creando rapporti di reciprocità ‘cattiva’ o ‘imperfetta’. Un riconoscimento autentico si basa viceversa su una reciprocità ‘trascendentale’, fondativa rispetto alla relazione perché chiama in causa il tertium, un’apertura verticale al bene comune. È un riconoscimento ‘fragile’, perché la responsabilità per l’altro è sempre esposta al male. Eppure proprio l’alleanza fra l’imperativo della giustizia e l’ottativo dell’amore, tra il patto e il dono, rappresenta scandalosamente la condizione di possibilità di una società giusta.Francesco Viola, L’età dell’et-et (pp. 41-55)
Com’è possibile trovare qualcosa di comune nella società del pluralismo? Tesi è che stiamo assistendo a una mutazione: dal paradigma della separazione – una vera e propria ‘cultura delle dicotomie’ che comprende i fenomeni sociali muovendo per contrapposizioni: soggetto e oggetto, spirito e materia, destra e sinistra… – a quello della connessione, che viceversa enfatizza l’interdipendenza delle sfere pratiche nella comprensione della vita sociale. Sulla base di questo assunto, vengono esaminate alcune dicotomie tipiche della cultura della separazione – giusto/bene, privato/pubblico, autonomia/vulnerabilità – al fine di osservare se una loro rivisitazione possa aiutare ad affrontare meglio la questione della comunanza nella società del pluralismo.Mauro Ceruti, Francesco Bellusci, Libertà, vulnerabilità, fraternità: la danza generativa del riconoscimento (pp. 57-75)
L’istanza di riconoscimento è legata da un lato a un movimento di auto-protezione della società, che assume perlopiù i tratti di una volontà di individuazione e autoaffermazione; dall’altro, a un (contro)movimento di auto-protezione della Terra. Il contributo ricostruisce una ‘geofilosofia’ del concetto di riconoscimento per ripensarlo alla luce di questo snodo. Tesi è che da una comune dipendenza dall’ambiente si possa costruire un’autonomia fondata non sull’individualismo, ma sulla solidarietà e la fraternità, in grado di riconoscere la vulnerabilità come dimensione intrinseca alla relazione sociale. Valorizzare la categoria della fraternità consentirà di introdurre un sostanziale cambiamento di paradigma eticopolitico. A. Fabris, La fede scomparsa La nozione di «capitale femminile» consente di riflettere sul ruolo collettivo specifico delle donne nell’organizzazione della società: un contributo spesso ‘invisibile’, di cura delle relazioni, di custodia dei più fragili, ma anche un lavoro pubblico nei campi dello sviluppo e dell'innovazione culturale. Se l’economia si allarga a considerare la cura e l’attenzione al pianeta, se la moda e l’architettura assumono i valori della sostenibilità e dell’attenzione alla dimensione intima e domestica, se la giustizia persegue valori riparativi più che punitivi, si possono creare nuovi spazi istituzionali e di leadership ‘a misura’ di donna, aprendo nuovi scenari di partecipazione pubblica.Luigino Bruni, Meritocritica. Un’analisi di una grande illusione (pp. 97-114)
L’ideologia meritocratica è la legittimazione etica della diseguaglianza: quest’ultima, che nel Novecento era un male da combattere, è oggi un valore da promuovere. Questo processo si compie in tre i passaggi: (1) i talenti delle persone sono meriti; (2) si riducono i molti meriti delle persone a quelli misurabili dalle società di consulenza e dal management; (3) si riconoscono i meriti-talenti e non i demeriti. In tal modo, la meritocrazia diventa la religione del nostro tempo. È necessaria una ridiscussione pubblica di che cosa sia il merito e della sua natura plurale, che tenga conto del fatto che le imprese misurano meriti facili, non difficili (relazionali e qualitativi). Solo così può emergere come la radice di ogni vera critica alla meritocrazia sia nella gratitudine.Alessandro Borghesi, Paolo Santori, Mercato, meritocrazia e riconoscimento. Una prospettiva critica (pp. 115-126)
Che valore diamo alla meritocrazia? Spesso, in modo indebito, nelle società di mercato sono l’affermazione e il successo economici i ‘meriti’ che definiscono l’identità personale e sociale. Richiamandosi ad alcune note teorie sul riconoscimento – da Platone a Honneth, da Hegel a Ricoeur – gli autori allargano la prospettiva: l’individuo può affermarsi come parte della collettività non solo nella sfera del mercato e del lavoro, ma anche in quella dei diritti politici, e soprattutto della cura e del dono, che scardinano dall’interno ogni logica basata sullo scambio. Occorre dunque riscoprire «percorsi di riconoscimento» che coinvolgano le dimensioni dell’umano nella loro interezza, sfidando le dinamiche delle società di mercato.Vittorio Pelligra, Una critica liberale alla retorica della meritocrazia (pp. 127-142)
La meritocrazia è una distopia, un’ideologia fondata sul privilegio del talento. Tra le conseguenze della sua retorica, la convinzione che se il successo premia l’impegno e il merito, allora l’insuccesso sia il giusto esito della mancanza di impegno (simmetria delle valutazioni). Le democrazie liberali possono disinnescare queste logiche disfunzionali, promuovendo una società ‘a-meritocratica’, in tre modi: riaffermando la differenza tra valore sociale e valore di mercato; spostando la prospettiva dal cittadinoconsumatore al cittadino-produttore; collocando il lavoro, con la sua dignità e la sua capacità di generare valore condiviso, al centro della politica economica.Leonardo Becchetti, Identità e bisogno di riconoscimento ai tempi della rete: caratteristiche, patologie e risposte di policy (pp. 143-161)
Accanto a libertà e giustizia sociale, uno dei moventi fondamentali dell’agire umano è il bisogno di riconoscimento. L’A. ne esamina natura e implicazioni. Già in Platone il desiderio di riconoscimento risponde a una precisa istanza identitaria che, proprio per questo, va correttamente incanalata. In tal senso, seppure in modalità proprie, sia i social media che l’azione politica possono rappresentare un potente catalizzatore di derive patologiche: dinamiche sociali escludenti, settarie, violente. Occorre allora farsi promotori di un paradigma sociale alternativo, quello della generatività: ne emerge la possibilità di definire un riconoscimento responsabile, fondato su relazioni di gratitudine, reciprocità ed empatia. Quando si parla di disuguaglianza occorre focalizzarsi non solo su chi si trova alla base della piramide sociale, ma anche sui cosiddetti ricchi. L’A. si interroga sulla legittimità della correlazione, assodata dal sentire comune nelle società capitalistiche, tra concentrazione del reddito e talento. I mercati concorrenziali consentono processi di arricchimento ‘estremi’, rispetto a cui però il merito personale concorre solo in minima parte. Esempi di fattori di arricchimento non meritocratici sono la pubblicità – il brand, non l’innovazione, crea domanda – o l’avvento delle piattaforme digitali e dei social media – l’accesso alla rete è un bene a consumo congiunto e gratuito. Lo scenario è dunque sfaccettato e merita di essere esplorato.Paolo Benanti, Oracoli: nuove prospettive religiose nella relazione ai dati (pp. 177-198)
L’avanzamento esponenziale dei progressi tecnologici produce cambiamenti difficilmente governabili, cui il pensiero razionale fatica a tener dietro. Il 'dataismo', per esempio, è un atteggiamento quasi devozionale nei confronti dell’autorità esplicativa, predittiva e normativa dei big data, vissuti come veri e propri oracoli. L’A. propone di opporre a questo ritorno al pensiero mitico un rilancio della filosofia, che si interroghi sull’algoritmo quale nucleo essenziale e linfa vitale delle moderne infrastrutture tecnologiche. Una volta guadagnata una definizione convincente e condivisa di ‘algoritmo’ è necessario esaminarne le implicazioni epistemologiche, ontologiche ed etiche, in modo da rendere possibile il passaggio dall’accumulo delle informazioni alla comprensione del loro senso. possibilità di fornire un corpo artificiale, di forma umana, per l’IA. Varie teorie si dichiarano a favore: il transumanesimo, che promuove l’abbandono del biologico e la transizione verso il virtuale; il singolarismo, che auspica la possibilità di sviluppare IA ‘super-intelligenti’, in grado di auto-migliorarsi e raggiungere una propria singolarità. A fronte di queste prospettive ‘tecnofile’, emergono però approcci più critici, che affermano l’irriducibilità dell’umano alla macchina e pongono varie questioni etiche. Occorre rifondare un ‘umanesimo tecnologico’, centrato su una complementarità tra naturale e artificiale, che tuteli però sempre la priorità dell’umano.Eventi
Federica Pazzelli, La presenza nel dono. Francesco D’Agostino tra i suoi libri (pp. 217-223)